Il portiere

L’Argentiera è un borgo struggente.
In piena Nurra, si raggiunge alla fine di una lunga e tortuosa discesa che inizia da Palmadula, passando per Porto Palmas. All’improvviso si apre un suggestivo paesaggio da Far West, con case, talvolta abbandonate, miste a impalcature in legno, anche imponenti come la laveria dell’ex miniera (ora museo), incastonate in una vallata che scende a mare e si apre in due spiagge bellissime.

Le viscere di quello che da tempo è un villaggio, piene di piombo e zinco argentifero erano conosciute e sfruttate anche al tempo dei romani. Ma fu nel 1867 che la miniera, rilevata da una società belga, tornò a pieno ritmo. Nel 1895 la proprietà passò alla società Correboi, che la detenne sino alla chiusura.

Dal 1940 al 1950 l’Argentiera raggiunse il periodo di maggior fulgore e ricchezza

2 mila residenti, quasi tutti minatori, una babele di razze italiche e sarde che convivevano senza grandi problemi e che nel tempo libero avevano a disposizione un cinema, spacci, bar, punti di ritrovo, biblioteca, una bellissima chiesa, una palestra di pugilato. E una squadra di calcio, con le maglie granata come il grande Torino. Che era una delle più forti della Sardegna. Giocava alla pari, in Prima divisione (una sorta di serie D) con le più blasonate squadre dell’isola e la cui vittima preferita era ed è una squadra dal nome altisonante: la Torres. Che l’11 dicembre 1949 L’Argentiera sconfisse 5-0.

La squadra fu un invenzione del direttore della miniera : l’ingegner Zera. Vi militavano sia calciatori sardi ( anche ex Torres), che altri prelevati da squadre del Continente, come il grandissimo terzino Olivieri, ex Bologna e Palermo, che a fine carriera scelse il borgo e poi si fermò tutta la vita a Porto Torres. Ai calciatori veniva dato un lavoro, spesso amministrativo o di concetto nella società che gestiva la miniera. Praticamente nessuno faceva il minatore, attività durissima che mal si conciliava a con la professione di calciatore. E di quella squadra diversi erano i professionisti. Come il regista Placchi, un centrocampista coi fiocchi. Tra i sardi eccellevano le punte Pischedda e Bardanzellu.

Molto efficace fu l’altro terzino Dongu, che poi si trasferì ad Ozieri e il cui figlio Giovanni divenne negli anni 70 uno dei più apprezzati calciatori sardi ( con campionati in serie C con la Torres). Di grandi doti si ricorda il portiere Senes, che dopo l’Argentiera fu per quasi 15 anni uno dei pilastri del Sorso. Come allenatori si alternarono fior di tecnici, come Isada di Torino e Benuzzi di Bologna, che costruirono un gioiello.

Il clamoroso 5-0 alla Torres

Come la formazione, appunto, che batté clamorosamente la Torres. Un undici che merita di essere citato tutto: Senes, Olivieri, Cossu, Placchi, Dongu, Rey, Luciano, Alias, Pischedda, Meridiani, Bardanzellu. Argentiera subito all’arrembaggio, i rossoblù letteralmente annichiliti. Chiude la pratica dopo 15 minuti, con due reti l’attaccante calangianese Bardanzellu. Nella ripresa doppietta di Alias e rete finale di Luciano.

Argentiera – Torres 5-0

Per la Torres quasi un’umiliazione. Certamente una delle più grandi per Umberto Serradimigni, un fuoriclasse dell’epoca, uno dei migliori giocatori di sempre della Torres e uno dei più validi atleti sardi degli anni 40 e 50. L’Argentiera giocava in un campo sterrato fra il centro abitato e Porto Palmas. La domenica pomeriggio la partita era un avvenimento ed il campo sportivo si riempiva di tifosi. Qualcuno veniva anche da Porto Torres, la cui squadra giocava nelle categorie inferiori. Al pari di altre di cittadine ben più popolose dell’Argentiera. Che viveva il suo momento storico migliore. Dove fatica, sudore, povertà e benessere si mischiavano ai tanti pettegolezzi che rendevano più frizzante l’atmosfera e che riguardavano soprattutto tresche amorose o tradimenti coniugali, nonché ipotetici conti da pagare agli spacci.

Alcune dicerie erano vere, la maggior parte chiaramente inventate. La bella vita veniva interrotta da lutti e morti sul lavoro. Perché, non dimentichiamo, il mestiere di minatore era durissimo e la sicurezza sul lavoro praticamente un optional. Ma tornando a quelle domeniche prima della partita la domenica mattina tutti a messa, officiata da don Pietro Meloni, che pretendeva che le donne entrassero in chiesa col velo, eleganti e caste. Anche se poi lui, simpaticissimo, di stravaganze se ne concedeva tante. Come la moto di grossa cilindrata con cui sfrecciava nel borgo, protetto da occhiali alla Tazio Nuvolari. Alle due del pomeriggio le collinette del campo sportivo erano già piene.

Argentiera anno 1948. Alcuni compagni di squadra dell’Argentiera a passeggio per le vie del borgo. Da sinistra Alias, Giagoni, Placchi, Luciano, Bardanzellu, accosciati Cossu, Dongu, Mameli.

Pronto il comitato di accoglienza per le squadre ospiti e l’arbitro, a volte inviato dal Continente, anche da Modena. Immaginiamo l’avventura del povero direttore di gara per raggiungere l’isola a quei tempi e ritornare poi in Emilia. Quando la squadra era in trasferta tutti si volevano informare sul risultato. Di cellulari allora esistevano solo quelli a quattro ruote di polizia e carabinieri. Ci si doveva perciò accontentare di un telefono pubblico, comunicare col bar dell’Argentiera e quindi diffondere la notizia. Ma una domenica del 1950 il pullman con la squadra non tornava.

Il pullman della squadra fermato dai banditi

La preoccupazione era evidente. Poi svelato l’arcano. A tarda notte. Di ritorno dal nuorese il pullman era stato fermato dai banditi: giocatori e dirigenti rapinati di soldi attrezzatura e vestiti. L’ingegner Zera praticamente ritornò in mutande. La vicenda ebbe una grossa eco. Dopo tutta quella prosperità la Correboi entrò in crisi. Né l’ingegner Zera né gli altri che vennero dopo di lui erano autorizzati dalla società a spese pazze sul calcio, che senza soldi anche allora non cantava messa.

Quindi tutti i grandi giocatori presero altre strade e abbandonarono l’Argentiera. Come le famiglie dei minatori licenziati. La squadra, costituita solo da elementi locali, presto scomparve dalla scena calcistica.

La miniera chiuse i battenti nel 1963

L’Argentiera come centro abitato divenne per decenni quasi un rudere. Un vergognosa scalinata in cemento, un ecomostro, ⁶venne realizzata nel 1980 nella vallata che porta alla spiaggia. In seguito le buone ristrutturazioni delle case. Ora anche un museo nella laveria e una canzone simpaticissima a lei dedicata di Giovannino Giordo L’Argentiera rimane sempre una delle località turistiche più affascinanti della Sardegna. I fasti degli anni 40 e 50 sono però lontani.

Non solo nel tempo. Del campo sportivo sino a qualche anno fa rimaneva un palo annerito. Ora neppure quello. I calciatori di quella squadra sono quasi tutti morti. I figli custodiscono con orgoglio i ricordi dei padri e dell’infanzia vissuta nella vivacissima Argentiera, dove vincere per le altre squadre era proibito.

Si ringrazia per la collaborazione il signor Lorenzo Dongu.

Il sito https://www.palmadula.it/ ringrazia Argentino Tellini e https://www.cityandcity.it

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