Io e Mariagrazia, da quando ci siamo conosciute un paio di estati fa, ci teniamo in contatto attraverso Facebook, dato che tra Milano e la Sardegna c’è di mezzo il mare, ma ogni volta che lei viene a Sassari, patria d’elezione di uno dei suoi figli, riusciamo a vederci.

Questa volta l’occasione è stata determinata dalle vacanze di Pasqua e dopo un aperitivo in centro, nel corso del quale abbiamo avuto l’opportunità di vedere sfilare una delle processioni di Pasqua, abbiamo deciso di fare una gita nel giorno di Pasquetta, data canonica dedicata alle uscite fuoriporta.

Marco,  suo figlio, ha proposto di andare all’Argentiera e io ho aderito con grande piacere perché è una località tra le più suggestive della Sardegna per la particolare bellezza e varietà del paesaggio caratterizzato da montagne di pietra argentata che lambiscono la costa. Si tratta di un vecchio villaggio minerario in cui l’attività estrattiva è cessata nel 1963 e attualmente tutti gli impianti e gran parte delle abitazioni, costruite in un particolare stile con le pietre del luogo, sono in disuso e in stato di abbandono.

Il sito estremamente affascinante è attualmente oggetto di un imponente progetto di recupero e ristrutturazione e ormai da qualche anno, alla fine di luglio, è sede del Festival “SULLA TERRA LEGGERI”, una serie di appuntamenti dedicati ai libri, al giornalismo, alla musica, al teatro, al cinema e alla televisione. Il titolo della rassegna prende il nome da un romanzo di Sergio Atzeni Passavamo sulla terra leggeri, pubblicato postumo nel 1996. In una narrazione in cui si miscelano riferimenti alla geografia e alla storia dell’isola, sovrapposti a un racconto mitico che evoca in forma di idillio il sogno utopico di un Eden perduto, l’autore fa dire a uno dei suoi personaggi: «Passavamo sulla terra leggeri come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta».

Ecco, è questa la natura nella quale si deve immaginare la nostra passeggiata alla Frana, una spiaggia un po’ fuori dal paese. Per arrivarci si percorre una strada sterrata che si snoda in mezzo ai campi che in questa stagione hanno i colori più belli dell’anno. In primavera, prima del caldo dell’estate, la Sardegna è ancora verde, nei prati, punteggiati da piccoli fiori selvatici, si possono cogliere infinite sfumature di verde mischiate al giallo delle margherite, al rosso dei papaveri, al lilla delle violacciocche. Questa tavolozza di colori assume ancora maggiore risalto quando sullo sfondo si staglia l’azzurro intenso del mare.

Io e Mariagrazia abbiamo camminato in questi sentieri dove ci si riempie gli occhi di luce e di colori e si respirano i profumi della natura. Lei dice che, abituata all’atmosfera di Milano, l’aria della Sardegna le dà un po’ alla testa, come una sorta di ubriacatura, come se troppo ossigeno le saturasse il cervello. Abbiamo trascorso un paio d’ore all’aperto e ho potuto constatare che le sue ginocchia bioniche funzionano benissimo dato che abbiamo percorso sentieri di campagna e tra salite e discese fluivano le chiacchiere sempre accompagnate dalla sua risata contagiosa, come è testimoniato dalla foto che Marco ci ha scattato.

Avrei voluto che in quel pomeriggio ci fosse anche la mia amica e collega Silvia, nata all’Argentiera e innamorata del posto, dato che legge regolarmente i post di Mariagrazia che poi giriamo su Facebook e di tanto in tanto commenta: «Ma quanto è in gamba questa signora… Come scrive bene… Quando viene in Sardegna me la devi far conoscere», ma purtroppo non è stato possibile.

La sera, al rientro in città, ci siamo salutate pensando di non rivederci perché io avevo degli impegni nei giorni successivi, ma prima di tornare a casa mi sono accorta che erano rimaste nella mia macchina le cesoie che Marco aveva utilizzato per raccogliere rosmarino e aglio selvatico, i cui profumi impregnavano ancora l’aria. Quindi ho mandato un messaggio dicendo che questa dimenticanza ci dava l’occasione di rivederci .

Andando a scomodare Freud potrei dire che questa apparente coincidenza rivelava un conflitto inconscio tra un’intenzione cosciente (i miei impegni), che è stata perturbata e un’intenzione (quella di ritrovarci) che ha agito inconsciamente.

Appuntamento quindi per una pizza il giorno dopo, questa volta anche con Silvia che ha avuto così l’occasione di conoscere di persona la signora che vedeva solo come una faccina su Facebook. La signora vecchiottina , come Mariagrazia spesso si definisce, anche in questa circostanza ha mostrato tutto il suo spirito giovane e ribelle ordinando la pizza “Bella e Monella”.

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